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Tu e io generiamo isole

Non voglio essere più

un nervo scoperto

Ma farmi pietra

per non sentire niente

Fino a quando

a terra

nel silenzio con le altre pietre

spezzare la dura corazza

sollevare la testa al sole

e accogliere di nuovo

amore e

abbondanza

 

 

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Sotto l’influsso di Nils Frahm, ore 2:10

Vorrei saper giocare con l’amore
Tornare ad amare come quando ero bambino
E nel silenzio
riconoscere il calore di una voce

Vorrei essere una montagna
per sollevarti e sfiorare le stelle
Mentre petali finissimi
giacciono sul fondo del mare

Ma con le spalle al muro
e senza niente da dare
resta solo un arido deserto
Un pugno di sabbia

Queste semplici parole
e niente più.

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Come un turista nella mia città

Stasera mi muovo come un turista nella mia città

Capita spesso quando passeggio da solo 

con uno zaino sulle spalle

Questo è il mio nuovo quartiere 

Piuttosto tranquillo

C’è perfino tanto posto per parcheggiare

E le finestre indossano freschi omaggi floreali

 

Sul molo, la luce di un lampione

ammaestra le ombre della sera

Mi siedo,  e ascolto il cigolio delle barche sotto la spinta delle onde

E’ buio,

e non distinguo il mare

Le navi là in fondo sono metropoli galleggianti

Iceberg di luci

 

Mi chiedo quale sia il senso

Se davvero esisto

Se sono chi credo io sia

Perché il mare è uno specchio profondo

Come l’esistenza

Un pozzo scuro dove guardarsi dentro 

fino a svanire

 

A che ore finisce lo spettacolo?

Posso decidere io quale sarà la sua fine?

E se… 

 

 

 

 

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Timidamente, riprendo

Fu come un lampo accecante

Come la rapida fuga di un’ombra 

La stessa estensione

La stessa intensità,

l’amore

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Kandinskij a Palazzo Blu (Pisa)

Si è aperta il 13 ottobre la mostra Vasilij Kandinskij dalla Russia all’Europa allestita nelle sale di Palazzo Blu a Pisa. L’esposizione, ideata e curata da Eugenia Petrova, direttrice aggiunta del Museo di San Pietroburgo, presenta più di cinquanta opere provenienti dallo stesso Museo di Stato russo e da altri centri museali come il Complex of Tiumen Region, il Surikov Art Museum of Krasnoyarsk e il Centre Pompidou di Parigi. Le opere esposte risalgono al periodo che va dal 1901 al 1921, ovvero quando Kandinskij teorizzò i fondamenti della sua personale concezione di arte astratta. Durante quello storico ventennio, il pittore entrò in contatto con le più originali avanguardie europee e, dopo averne studiato gli aspetti pittorici, fondò a Monaco il movimento artistico Phalanx. Presto il suo astrattismo si sarebbe diffuso in tutto il vecchio continente. La mitologia e le fiabe della tradizione popolare russa influirono con forza sul giovane Kandinskij, il quale decise di trasformarle in argomenti di sperimentazione grafica sottoforma di xilografie: La notte e Poesie senza parole, entrambe del 1903, ne sono un raro esempio. In quest’ultima opera si evince l’interesse del pittore per cavalli e cavalieri che tornerà come un’ossessione in molte sue opere successive. L’equino è per Kandinskij simbolo di liberazione dal passato e dalla tradizione, ma anche del rapporto biunivoco fra arte e artista. Il cavallo, infatti, conduce il cavaliere con forza e velocità, ma è il cavaliere – l’artista – a guidarlo e a tenerlo sotto controllo. Non a caso l’artista battezzerà il suo movimento artistico “Der Blaue Reiter”, firmato anche da Franz Marc, Klee, von Werefkin e Jawlensky. Kandinskij definì l’iconografia equestre come “il talismano romantico dell’eroe galoppante”. Dall’arte del passato recuperò le sacre immagini di San Giorgio e il drago, risalenti al XV secolo. Nel suo San Giorgio II, il pittore rielabora il soggetto in chiave astratta riducendolo a semplici macchie di colore che, se osservate da una certa distanza, assumono le fattezze del cavaliere astato, intento a colpire il drago nella sua classica posizione, sdraiato a terra sul fondo del dipinto. Di notevole interesse anche i quadri naturalistici in stile fauve, dove i colori si rafforzano di un’irruente carica emotiva. Essi si rivelano all’osservatore solo se immerso nella contemplazione della natura. Il tratto, rapido e deciso, è invece quello dei pittori post-impressionisti, ravvisabile nelle figure ambientali e nei riflessi delle superfici acquatiche.

Macchia nera

Macchia nera

Uno dei primi dipinti astratti di Kandinskji risale al 1912: Macchia nera I, in cui compaiono richiami di pittura rupestre. La macchia nera del titolo ricorda, infatti, il tamburo sacro usato dagli sciamani siberiani per comunicare con gli spiriti. L’intero quadro risuona di un misticismo atavico, con il suo contrasto di armonie e disarmonie, teso a simboleggiare quel rapporto spiritualità-pittura che l’artista sovietico scorge fra le linee, nei colori e le forme astratte combinate armoniosamente per comporre un ritratto dell’esistenza umana. Dopo la Grande Guerra, il pittore si avvicinò alla tecnica della pittura su vetro mutuata dall’arte popolare tedesca, definendo le sue opere “Bagatelle”. Accentuò i colori e l’atmosfera fiabesca, come in Composizione o Due ovali del 1916, in cui è possibile cogliere colorismo, figurativismo e ambientazioni oniriche alla Chagall. Immortali le opere Cresta Azzurra (1917), celebre per l’ impetuosa esplosione di forme e colori dinamici, simboli di illuminazioni e profondi moti d’animo, e Composizione su fondo bianco del ’20 che conclude la mostra. Dipinto poco prima di lasciare la neo Russia comunista, quest’opera rappresenta il definitivo passaggio dall’oggettuale concreto al soggettivo astratto.

Cresta azzurra

Cresta azzurra

Macchie di colore in libertà dotate ognuna di un personale significato simbolico: dall’energia dell’arancio, alla folle vitalità del giallo. Il bianco omogeneo è uno sfondo carico di archetipi spirituali e conflitti prospettici. Lo scopo? Superare il figurativismo e instaurare un legame fra arte e forze psichiche. Fra l’anima e l’infinito.

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Oggi è un giorno così

Sono allegro solo quando piove

Quando il cielo  lampeggia all’orizzonte, livido

E abbraccia l’impetuoso oceano ingrossato dal vento

Il rintocco di una campana a lutto

Mi conforta

Mentre lugubri visioni si stendono ai piedi di lapidi

Di un cimitero lasciato a marcire
Frasi sconnesse, mormorano

Per noi che ancora ci muoviamo senza senso

Trascinando un peso morente
Mi rallegra il Faust

E Edgar Allan Poe

E come Baudelaire

Rivendico il diritto all’infelicità e al disprezzo

Per la felicità banale di chi stampa sorrisi

in cambio di altri sorrisi

– Valuta di scambio per merci illusorie

Sorride il mondo

Sorride la luna

Sorride il cane che mostra la lingua

Sorridono i monti

I pascoli

Le siepi

Ricambio

– Più un ghigno che un gioioso sorriso

Oh, quanta gioia!

Posso quasi toccarla;

Perfino farla mia

Appenderla su un muro, così da non scordarla più

Misuro i passi che avanzano

Conto i minuti

Che si sommano in ore

Vetrebra dopo vertebra dopo vertebra

Non credere che sia stato sempre così

Un tempo era tutta un’altra storia

Le ombre si allungavano

Per poi svanire
Così la notte incanta e dissipa la luce

Per riappropriarsi del tempo perduto

L’urlo cannibale

La voce straziante

Le gesta di un eroe morto

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Diazepam

Cinque del mattino

Trincerato
sotto le
coperte
snocciolo
gli ultimi
decisivi
pensieri

– Céline al termine della notte

Tachicardia

Un bicchiere di troppo

– a me gli occhi, soffitto

Stacco la sveglia
e rimando
a domani
il lavoro
Mi addormento di colpo

– Avevo bisogno di buoni propositi

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Tragedia

Altolà!

Disse il teschio ad Amleto.

Hai intenzione di lasciarmi?

Di torturarmi?

Forse vuoi solo farti gioco di me…

(PAUSA)

Con le tue dita

che scavano

le mie orbite vuote.

Suvvia,

sei grandicello ormai.

Quali sogni potrai mai avere?

Quali velleità?

Povera Ofelia…

(PAUSA)

Il tempo

ha sgranchito

le mie ossa.

Le tempie

battono

ancora

(PAUSA)

Questo è il mio tempo.

Queste le mie membra!

Sei

e resterai

ciò che sei sempre stato:

un cocciuto.

Un edipico cacciatore di fantasmi.

Con la testa altrove,

dietro le cose

più grandi di te.

Perché non fai invece la tua mossa

al posto di tormentarmi

con i tuoi stupidi dilemmi.

 

Prendere

o lasciare,

questo è il problema.

 

Sarà come perderti

alla luce dell’alba.

Avrai in mano solo il mio scalpo.

Ti correrranno dietro,

ti batteranno forte.

Ti crocifiggeranno

– e non avrebbero poi tutti i torti…

Perciò dovrai correre.

Correre più forte che puoi.

Non li sopportano

i lagnosi.

Li affumicano per

poter piangere.

Se li fanno amici

e poi li umiliano.

Tu hai me, Amleto.

Quando mi guardi

osservi te stesso.

Non avrai scampo

(PAUSA)

 

 

 

 

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Appeso a un filo sottilissimo

Stretto al tuo respiro interrotto
La tua immagine che sfuma
Caldi ancora di vita
Appesa a un filo sottilissimo.

Tengo le tue mani
Tra le mie.
Parlo con la tua voce
Perché tu sappia
Quanto sia aggrappato
A un filo sottilissimo.
Per non cadere giù
Dove non c’è fine
Né inizio.

So cosa significa guardarsi intorno.
Prendere a pugni la città.
Conoscerne a memoria le luci,
le strade. Sempre le stesse.
Confonderle con le stelle
Al punto da credere che questa
vita non è la tua.

Non si puà vivere a lungo
In una prigione
appesa a un filo sottilissimo.
Ma non puoi negare
Quanto valga la pena
stringerlo
fino sanguinare.

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America

Ascoltami, Luna.
Dov’è l’America?
Quali sono le sue
Spiagge dorate?
L’orizzonte inganna.
Come l’età in cui si sogna
Senza timori.
Oh Luna,
fa che queste parole
non si riducano a un
desolato soliloquio.
Come un figlio
in ginocchio
davanti a un padre reticente
incapace di dare risposte.
Le parole
solo mormorate
disperdono
lo spirito delle azioni.
Le sole
Capaci di nuovi attributi.

Sogno ogni notte
l’America.
Ma l’America,
quella vera,
deve ancora arrivare.

Luna,
tu che ci guardi
da un oceano di stelle
e dolore,
tu che non hai voce
a differenza del Mondo,
non prometterci spiagge,
né terra né orizzonti.
Insegnami solo oneste parole
e io tornerò a parlare.

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