Non voglio essere più
un nervo scoperto
Ma farmi pietra
per non sentire niente
Fino a quando
a terra
nel silenzio con le altre pietre
spezzare la dura corazza
sollevare la testa al sole
e accogliere di nuovo
amore e
abbondanza
Non voglio essere più
un nervo scoperto
Ma farmi pietra
per non sentire niente
Fino a quando
a terra
nel silenzio con le altre pietre
spezzare la dura corazza
sollevare la testa al sole
e accogliere di nuovo
amore e
abbondanza
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Vorrei saper giocare con l’amore
Tornare ad amare come quando ero bambino
E nel silenzio
riconoscere il calore di una voce
Vorrei essere una montagna
per sollevarti e sfiorare le stelle
Mentre petali finissimi
giacciono sul fondo del mare
Ma con le spalle al muro
e senza niente da dare
resta solo un arido deserto
Un pugno di sabbia
Queste semplici parole
e niente più.
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Stasera mi muovo come un turista nella mia città
Capita spesso quando passeggio da solo
con uno zaino sulle spalle
Questo è il mio nuovo quartiere
Piuttosto tranquillo
C’è perfino tanto posto per parcheggiare
E le finestre indossano freschi omaggi floreali
Sul molo, la luce di un lampione
ammaestra le ombre della sera
Mi siedo, e ascolto il cigolio delle barche sotto la spinta delle onde
E’ buio,
e non distinguo il mare
Le navi là in fondo sono metropoli galleggianti
Iceberg di luci
Mi chiedo quale sia il senso
Se davvero esisto
Se sono chi credo io sia
Perché il mare è uno specchio profondo
Come l’esistenza
Un pozzo scuro dove guardarsi dentro
fino a svanire
A che ore finisce lo spettacolo?
Posso decidere io quale sarà la sua fine?
E se…
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Fu come un lampo accecante
Come la rapida fuga di un’ombra
La stessa estensione
La stessa intensità,
l’amore
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Sono allegro solo quando piove
Quando il cielo lampeggia all’orizzonte, livido
E abbraccia l’impetuoso oceano ingrossato dal vento
Il rintocco di una campana a lutto
Mi conforta
Mentre lugubri visioni si stendono ai piedi di lapidi
Di un cimitero lasciato a marcire
Frasi sconnesse, mormorano
Per noi che ancora ci muoviamo senza senso
Trascinando un peso morente
Mi rallegra il Faust
E Edgar Allan Poe
E come Baudelaire
Rivendico il diritto all’infelicità e al disprezzo
Per la felicità banale di chi stampa sorrisi
in cambio di altri sorrisi
– Valuta di scambio per merci illusorie
Sorride il mondo
Sorride la luna
Sorride il cane che mostra la lingua
Sorridono i monti
I pascoli
Le siepi
Ricambio
– Più un ghigno che un gioioso sorriso
Oh, quanta gioia!
Posso quasi toccarla;
Perfino farla mia
Appenderla su un muro, così da non scordarla più
Misuro i passi che avanzano
Conto i minuti
Che si sommano in ore
Vetrebra dopo vertebra dopo vertebra
Non credere che sia stato sempre così
Un tempo era tutta un’altra storia
Le ombre si allungavano
Per poi svanire
Così la notte incanta e dissipa la luce
Per riappropriarsi del tempo perduto
L’urlo cannibale
La voce straziante
Le gesta di un eroe morto
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La signora che siede davanti a me
potrebbe essere benissimo un’insegnante
o un’amica di mia madre
Ha con sé una borsetta nera
e porta un paio di occhiali dalla montatura
robusta.
Occhialoni
Alle orecchie, due pendagli torondi.
All’anulare della mano sinistra,
un vistoso anello che attira il mio sguardo.
La osservo con attenzione.
Salgo dalle mani al volto…
… sorride.
Mi ha scoperto.
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Ho questa immagine di noi due
rannicchiati sul dorso dello scoglio balena.
Origliamo le fronde degli alberi
col cuore carico d’innocenza
– al contrario di chi crede che il mondo sia solo fatto per essere conquistato
I tuoi silenzi.
I minuti come i giorni,
le ore come gli anni
– Quel giorno il caffè aveva un altro sapore
Ma noi teniamo gli occhi fissi
sui galleggianti che danzano sulla
superficie lucida dell’acqua
Mentre le nubi si addensano a ovest;
che sia tenebra o pioggia
perdoneremo
Si lamenta forse
il fiore tormentato dalla grandine?
E’ il nostro esilio a tener vivi i tuoi ricordi.
Fuori la notte avanza a lunghi passi.
Vittime e carnefici
dello stesso desiderio,
noi due
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Le tue borgate
parlano in dialetto…
I bambinetti
a fa la partitella.
Sta là la verità
e tu l’annavi a cercà
nascosta sulla lingua della gente
Le luci infrante della strada,
i consumi e la città
Era tutto già cambiato,
manco ce ne siamo accorti
Ma tu si,
ce l’hai fatto capì te
Quando parlavi, chiunque t’ascoltava
e c’aveva pure da imparà
Cristo in croce l’hai spogliato
e l’hai reso pure uomo
Un po’ fragile, un po’ debole
come me parevi tu
Lo sapevi er fatto tuo; stare dritto a questo mondo
che va preso per er culo
Si, per fasse du risate
E se fissi dritto il cielo
prova a chiede:
Cosa sono queste nuvole?
Cosa dice il buon Totò?
La verità ce l’hai qua dentro
Ma non dirla ad alta voce,
altrimenti non c’è più
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Cinque del mattino
Trincerato
sotto le
coperte
snocciolo
gli ultimi
decisivi
pensieri
– Céline al termine della notte
Tachicardia
Un bicchiere di troppo
– a me gli occhi, soffitto
Stacco la sveglia
e rimando
a domani
il lavoro
Mi addormento di colpo
– Avevo bisogno di buoni propositi
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Ho visto i mari respirare il cielo
e cumuli di nubi ammassate
celebrare il loro matrimonio.
Ho visto i secoli invecchiare con gli anni
e le giornate bagnarsi del bagliore della luna.
Ho visto angoli di terra squarciati
dall’eterna idiozia dell’uomo.
– Coperchi di muscoli e vene.
Potrei condurvi alla luce
più di un Dio compianto.
Così assente
Così oscenamente stanco di guardare.
Pensate davvero di sapere
cosa sia la vita?
Io da tempo vi osservo
trasudando
morte.
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