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Pacifico, il nuovo album dei Bad Love Experience

Qualche anno fa avevamo lasciato i Bad Love Experience alle prese con un sixties revival per niente scontato da cui trapelavano Beatles, Kinks e Pretty Things. Il disco si chiamava Rainy days e da molti fu accolto con gran soddisfazione, al punto che due brani finirono per accompagnare alcune sequenze del film “La prima cosa bella” di Paolo Virzì. La band si è poi visto strappare dalle mani un David di Donatello come miglior brano di una colonna sonora da quel bricconcello di Jovanotti. Scontato, direte? Ovvio, ma finire in nomination con artisti come Marlene Kuntz, e si, anche Checco Zalone, non è cosa da tutti.


Passano tre anni ed ecco che il gruppo torna sulle scene con un sound più asciutto, più maturo e… Pacifico. Questo è, infatti, il titolo del terzo disco dei livornesi Bad Love Experience, prodotto da Black Candy e Tannen Records; un’opera da un lato meravigliosamente evocativa in pieno stile Beach Boys, dall’altra dannatamente british. L’album si configura come un degno successore di Rainy Days: voci sapientemente armonizzate, ottimi arrangiamenti (stavolta più oculati) e strumenti a profusione fra cui chitarre classiche dal timbro marcatamente folk. Il tutto accompagnato da una new entry: Marco Capozzi alle chitarre e ai cori, con il quale la band acquista ancor più vigore e sicurezza.


Chi si aspetta un album tanto diverso dal precedente, sia pronto a ricredersi. La band toscana conferma il proprio stile con l’aggiunta di una ricerca compositiva che dimostra ancora una volta i notevoli progressi di un gruppo in continua sperimentazione, soprattutto dal punto di vista della struttura dei brani.


Potremmo azzardare la definizione di concept album, vista la suddivisione in quattro parti di The kids have lost the war, un unico brano che, a detta dei Bad Love, incarna “la storia di un viaggio: il viaggio di una persona che vuole perdersi volontariamente.” Più che un cenno di resa è una canzone di protesta contro chi “protestava” ascoltando Bob Dylan al sicuro della propria cameretta, con la speranza che qualcuno un giorno avrebbe sognato un mondo migliore al posto loro. Oggi la guerra combattuta a colpi di fiori è decisamente finita. Perciò, non resta che mettersi in viaggio per capire chi siamo e cos’è cambiato, diretti verso una meta, Pacifico, che magari neanche esiste.


Devil in town parte come una ballata country per poi esplodere in un vortice distorto di chitarre e cori dal sapore beatlesiano. “L’amore è un dubbio misterioso”, infatti, con That country road si torna alla realtà del viaggio e alle difficoltà incontrate lungo la via e Old oak tree ne è la riprova. E’ il turno di Dream eater, ma la musica non raggiunge la stessa forza evocativa del testo, onirico e visionario.


Pacifico inizia a decollare davvero con Cotton Candy, uno dei due pezzi strumentali dell’album: trasuda trip lisergici capaci di rievocare il Brian Wilson più psichedelico. Sono tanti i richiami alle principali fonti d’ispirazione del gruppo, al punto da pensare che siano dei precisi e voluti omaggi. Basti pensare alla terza parte di The kids have lost the war: il clavicembalo e i cori riportano subito alle fitte trame corali dei Beatles di Because. Chi adora il genere non può non apprezzare l’idea o il fine riferimento, ma alla lunga c’è il rischio di restare ingabbiati in un gioco di specchi da cui l’originalità non può uscirne che sfiancata. Per fortuna ci sono pezzi come The princess and the stamble boy o il singolo Dawn ode, veri esempi di maturità compositiva. Nonostante l’atmosfera sia cupa e resa ancor più straniante da organi desertici e da improvvisi cambiamenti sonori (delle vere e proprie perle musicali), il brano nasconde una misteriosa sensualità che affascina e incanta. Il disco termina poi con la quarta e ultima ripresa della traccia leitmotiv che esplode letteralmente in un fastoso epilogo corale.


Per apprezzare questo disco bisogna avere la pazienza di un ascolto in più. La prima volta può sembrare “complicato” se non addirittura un poco pretenzioso. Eppure, accade che più lo si ascolta più si apprezzano i suoni, le atmosfere, gli imprevedibili passaggi sostenuti da strutture concepite con quella “pericolosa” sicurezza, tipica di chi sa come muoversi ma che ancora non sa dove vuole arrivare. Pacifico è dunque un portentoso disco di transizione, a metà fra partenza e arrivo. I Bad Love Experience sono ancora un gruppo in viaggio; la strada è lunga, ma da lontano è già visibile il bagliore di una meta non poi così distante.

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Intervista ai Bad Love Experience: “Pacifico”, il nuovo disco in arrivo

I livornesi “Bad love Experience” contano le ore che li separano dall’uscita del loro ultimo disco, “Pacifico” (Black Candy rec./Tannen Records) e in uscita il 15 febbraio. Un ottimo regalo, dunque, per chi è abituato a far spese per San Valentino. Dopo il successo del precedente “Rainy Days” (2009), i Bad Love Experience si preparano così a un nuovo tour che li vedrà impegnati in numerosissime date. Il gruppo ci parla di “Pacifico” (ascolta Dawn Ode) e della sua genesi.

Quasi un anno fa, in una lontana intervista, vi chiesi di raccontarmi qualcosa a proposito del prossimo disco, ma eravate ancora confusi perché lo avevate appena registrato. Ora, a meno di un mese dall’uscita, vi sentite ancora confusi?

La confusione e la paura di esserci messi un’altra volta in discussione con questo nuovo progetto hanno perso il posto rispetto a una più sicura percezione della realtà che è per noi “Pacifico” (e la band stessa oggi) e alla consapevolezza di aver creato un mosaico omogeneo di brani che fanno del disco un blocco unico e solido con una sua identità sonora, come volevamo.

“Pacifico”. Sembra un titolo dal forte contenuto emotivo. Da dove è saltato fuori? Ha a che fare con i concetti affrontati dall’album?

“Pacifico” è lo stato d’animo che ci è rimasto dentro dopo aver terminato questo nostro viaggio musicale. È stato un viaggio molto intenso, non senza difficoltà, ma alla fine ne siamo usciti, pacifici. Più che con i concetti ha a che fare con le sensazioni che questo disco ci trasmette e che speriamo trasmetta anche a voi.

Le canzoni del disco sembrano seguire un filo conduttore. Penso alle varie parti di “The kids have lost the war”. Di cosa parla il nuovo album?

“The kids have lost the war” è essenzialmente la storia di un viaggio: il viaggio di una persona che vuole perdersi volontariamente. Il tema del viaggio attraversa tutto l’album: viaggio come vita, viaggio come visione. Prima di fare questo disco abbiamo viaggiato molto, non solo insieme sul nostro furgone, ma anche separatamente, con le nostre gambe e con le nostre menti, alla ricerca di ciò che più ci interessava. Volevamo che “Pacifico” fosse più che mai il viaggio di quattro persone diverse che vanno nella stessa direzione, non di una persona divisa in quattro.

“Dawn ode” è il primo singolo estratto dall’album “Pacifico”. C’è un aneddoto particolare che può spiegare la sua nascita?

“Dawn ode” non è un vero singolo ma piuttosto è frutto di un brainstorming applicato alla musica, il suo senso di completezza deriva dal fatto che ogni momento del brano è scaturito quasi naturalmente anche in sala prove. L’unico aneddoto è un ricordo: ho iniziato a suonare questo accordo di do minore 6 al pianoforte con una cadenza martellante e mi piaceva. Poi Marco è venuto fuori con quella chitarra stile organo che dava un effetto solenne ed Emanuele e Gabriele con quel basso ipnotico e quella batteria quasi drum machine. Metti insieme quattro teste matte e viene fuori “Dawn Ode”.

Nel primo brano canti: Puoi portarmi una volta nella terra dei perdenti / Così che possa vedere direttamente la fine della mia storia. Sembra una dichiarazione di sconfitta, in verità leggendo il testo sembra tutt’altro. Chi sono i perdenti della canzone?

È una domanda che vorrei rivolgere a tutte quelle persone delle vecchie generazioni che ci accusano di non essere più capaci nemmeno di far sentire la nostra voce. Dovrebbero rendersi conto, loro che hanno fatto le rivoluzioni, che la merda in cui ci troviamo oggi ce l’hanno lasciata loro. Loro ci hanno rubato il futuro. Vorrei sapere se siamo noi o sono loro quelli che hanno perso la guerra.

Sia dalla musica che dai testi riaffiorano influenze Fleet Foxes e Grizzly Bear, ma anche Dylan. Dico male? C’è stato un ascolto in particolare che vi ha in qualche modo “ispirato” a intraprendere questa nuova strada compositiva?

Non dici male. “Pacifico” è un disco che strizza sicuramente l’occhio a quelle band attuali che più ci piacciono, come i già citati Grizzly Bear e Fleet Foxes. Per quanto riguarda Dylan, sicuramente siamo stati influenzati: lo abbiamo amato e lo amiamo molto. Non credo ci sia stato un ascolto in particolare, piuttosto forse un incontro fra tutto ciò che ci piace di più: le atmosfere acustiche di Dylan appunto, la psichedelia di Brian Wilson, il suono di terre distanti da noi e un po’ di genuino r’n’r sono stati fra gli ispiratori di “Pacifico”…

Davanti a voi si prospetta un tour folto di date. È così?

Siamo in piena promozione e la nostra agenzia Otis Tours sta lavorando ad allestire un calendario date. Per ora tante sono TBA ma la richiesta non manca.

Sono brani complessi da presentare dal vivo su di un palco? Siete stati costretti a ri-arrangiarli tanto?

Abbiamo dovuto scarnificare qualcosa, riproporre gli arrangiamenti del disco dal vivo avrebbe comportato la presenza di svariate entità sul palco, cosa non sempre realizzabile nel nostro circuito. Il live è comunque molto fedele al disco, chiaramente essendo un live è più diretto e il volume è molto alto, come nelle migliori tradizioni rock.

Avete alte aspettative sull’esito di questo disco? Siete almeno un po’ emozionati?

Siamo emozionati di vedere come verrà accolto il disco, per noi è molto importante il parere degli ascoltatori “normali” tanto quanto quello dei critici musicali. Siamo un gruppo italiano che canta in lingua inglese. Lavoriamo di anno in anno per costruirci una credibilità, all’estero mandiamo prodotti a nostro parere dal sound internazionale per confrontarci con altre realtà e provare a essere apprezzati nel resto del mondo. Con “Pacifico” siamo ottimisti nel ritagliarci un nostro spazio e a ora siamo emozionati per l’uscita del disco almeno quanto lo eravamo quando abbiamo sentito il master finale.

 

Per l’intervista originale, copiate e incollate questo link:

https://sites.google.com/site/sonofmarketing1/interviste-una-chiacchierata-con-i-bad-love-experience

 

 
 

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